Sono fuori dalla Gialla e il traffico pedonale a Milano non è più quello di un tempo.
Un anno fa avrei dovuto fare lo slalom tra le persone prima per riuscire ad uscire dalla stazione metro, poi raggiunta la strada avrei ingaggiato una gara di velocità coi passanti.
È quasi impossibile darsi un appuntamento a Piazza Duomo, anche con un riferimento preciso come il Museo del ‘900, è come ritrovarsi nel famoso pagliaio e dire con prepotenza all’ago di sbracciarsi per farsi riconoscere, tanto più che un ago non ha mai avuto le braccia.
Penso questo mentre ti vedo di schiena, riconosco la tua sagoma da dietro: intuisco che tieni le braccia conserte e stai guardando qualcosa davanti a te con quella tua attenzione che nessuno mai potrebbe interrompere. Quando qualcosa ti cattura è per sempre.
Ma è lo zaino che più di tutto mi colpisce perché riconosco le geometrie e certi colori e ancora più convinta, penso, che ciò che ti ha catturato una volta resta lì per sempre.
Mi avvicino lenta perché tu non senta il mio passo, quando alle tue spalle sussurro: “ Proviamo ad entrare al museo, non potremo bere un caffè, ma almeno ci guarderemo negli occhi”.