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IL PRANZO DELLE COCCHE

Alle dieci di sera messaggio sulla chat Coccadoro: domani pasta e lenticchie.
Segue: io porto l’insalata di spinaci.
Ultimo: ho appena sfornato la torta, senza grassi animali, domani ne porto metà.
Ovviamente il menù varia perché è stagionale, familiare e si fonda, anche, sull’autenticità del riuso. 

Il pranzo al laboratorio Coccadoro è un rito. Quattro donne insieme fanno un rito, talvolta un trito o un pranzo farcito di tutto quello che non ci si è detto mentre ciascuna era assorta nel suo compito imminente.
Siciliane siamo, il verbo lo pospongo per abitudine e fedeltà ad un linguaggio che predilige l’aggettivo al verbo.
L’indomani, dopo ore di slalom tra decisioni ponderate e guizzi arditi, passando per l’immancabile logica dell’urgenza e approdando al finale del derubricato, una di noi apparecchia la tavola con piatti, bicchieri e posate, l’altra dispone le portate e, infine, la più “equa”, impiatta il cibo.

Ed è questo il momento in cui la briglia si scioglie e, dopo i primi bocconi in mezzo ad esclamazioni che fanno di ogni pietanza il capolavoro culinario mai tastato, ciascuna da sfogo ai pensieri della mattinata in un divenire fluido che solo la buona tavola sa evocare.
Così il pranzo diventa una specie di brainstorming di cui il cibo è parte integrante e in mezzo a chiacchiere amene arriva l’intuizione, la programmazione, per poi ritornare, a velocità sorprendente, alla chiacchiericcio distensivo da commensali intime che commentano la notizia di cronaca o l’ultimo episodio di una serie avvincente.
Infine ci si alza da tavola e si ritorna ad un ordine magistrale e naturale che decide, da sé, chi si occuperà nella prima mezz’ora delle stoviglie e chi, malgrado la lenta digestione, tornerà alle sue mansioni operative.

Tornare alla propria scrivania è d’obbligo, l’avere compreso che sedersi attorno ad un tavolo e condividere del cibo è il piacere che, con gioia, ogni giorno ci regaliamo.

 

PHOTO by Monika Grabowska