Che poi, alla fine, se sei stato tra il Capo e Ballarò e se da quest’ultimo, tra piccole svolte a destra e a sinistra, scendi tre scalini e poi ne risali cinque e sei pure passato da via Sant’Agostino a Palermo, il mercato di Vecchia Città di Medina seppure resti un tripudio irresistibile di colori e odori, in qualche modo non dista, per immagini, così tanto dalla città in cui vivi.
Lì ho trovato le stoffe per queste borse, nel Vecchio Mercato.
Non so se e quanto vi piaccia rovistare, affondando le mani, in quel guazzabuglio di fantasie e di texture; poiché ciascuna stoffa ha una grana diversa, uno spessore diseguale per ogni parte del decoro, un sapore al tatto che ti apre al gusto o al disgusto, ma resta il piacere, sopraffino come del maestro sommelier, di tastarle una per una, tra pollice e medio, perché neanche il colore basta e l’odore delle spezie, che da dietro l’angolo ti confondono le idee alla fine sono anche una colonna sonora che ti invita a scegliere senza mai riuscire a fermarti.
Allora diventi vorace di ogni fibra e cominci a procedere per intenzioni, dici a te stessa: mi muovo per colore, no anzi per decoro o forse è meglio che io proceda per tessuti. Ma, nel frattempo, il venditore al tuo fianco diventa la voce narrante di tutto ciò che stai vedendo e ti srotola davanti magie antiche e contemporanee e ti invita ad un’asta tua sua fatta di proposte appariscenti e nascondigli segreti come la kasbah.
Ed è solo a quel punto che decidi di abbandonare le intenzioni, tanto a niente serve il come e quando userò questa stoffa. Fai un balzo in avanti, dall’intenzione all’intuizione.
E in albergo infili tutto in valigia, con la stessa furia con cui hai comprato, presa da fame di trame.
Poi un giorno, con più calma, rimesti in quel tripudio e salta fuori quel nero e turchese che avevi quasi dimenticato.
Se per questo finirò nel girone degli ingordi me lo sarò anche meritato, ma volete mettere il piacere di avere azzeccato il mio intarsio?